Quando distolse lo sguardo dal cielo, lasciando uscire dai suoi occhi scuri l’immagine del sole che si rifugiava, sempre più piccolo, dietro la linea dell’orizzonte, si rese conto di quanto fosse affamato. Una rapida occhiata al possente orologio a muro che aveva sistemato qualche giorno prima in veranda gli chiarì che il suo stomaco non aveva torto. Era rimasto davvero a lungo a guardare il tramonto, accompagnato, come al solito, da centinaia di ricordi, situazioni e volti che restavano vivi, ormai, soltanto nella sua memoria. Digiunava dal mattino e aveva l’assoluta necessità di mangiare qualcosa.
Ma era troppo stanco per raggiungere il solito ristorante. Quella sera il suo tavolo sarebbe rimasto vuoto, alla Taverna del Re. Rientrò in casa e attraversò l’ampia libreria prima di raggiungere la sala da pranzo. Quei pochi passi, ancora una volta, gli confermarono quanto fosse bella la sua casa. Sorrise, pensando a quell’aggettivo. Sì, la casa era ormai sua, ma quanta fatica e quante inimicizie gli era valsa.
Di Clara era stato davvero innamorato, checché ne pensasse la gente.
Ricordava le lunghe chiacchierate con lei sulla veranda, proprio a fissare il tramonto, come aveva fatto lui poco prima, ormai solo. La sua compagna gli mancava ancora, inutile nasconderlo. Nella sua anima, lo spazio che da giovane, quando cambiava accompagnatrici con la stessa frequenza con la quale cambiava le giacche, non credeva ci fosse, era stato completamento colmato e dilatato da lei, e adesso che non c’era più gli aveva lasciato un profondo vuoto, che non riusciva a colmare con le avventure occasionali a cui, nonostante l’età, non rinunciava affatto.
Nella triste consapevolezza che il tempo trascorso non poteva essere recuperare sedette e cenò, con l’aria della camera riempita da qualche nota di musica jazz, malinconica e a basso volume. Sorseggiò lentamente un bicchiere di chianti, metà nella sala da pranzo, metà nella poltrona di pelle scura che troneggiava al centro della libreria.
Fu bevendo l’ultimo sorso del rosso che notò qualcosa di nuovo nell’ampio scaffale ligneo proprio di fronte a lui. Un libro la cui costa era in assoluto disaccordo con quelle degli altri. Sembrava più logoro, ma non per questo misero. Strano: Clara aveva sempre curato in maniera maniacale l’ordine di quella stanza e lui, quelle sere che alle lenzuola rese calde dalla presenza di un’amante aveva sostituito la compagnia meno movimentata ma certo più sicura di un buon libro, era sempre stato attento a ripristinare lo stato delle cose.
Cosa ci faceva, dunque, quel libro lì? E perché lui, attento osservatore, lo notava solo quella sera? Lo prese delicatamente, scoprendo con stupore che non aveva alcun titolo sulla copertina. Non conteneva un grosso numero di pagine, ma aveva un fascino strano che lo faceva apparire elegante e antiquato al tempo stesso, massiccio e fragile. Lo aprì e ne lesse finalmente il titolo: “Il ciclo del Re di Pollena”. Non ne aveva mai sentito parlare, eppure ciò che lo stupì ancor più fu la dedica. A penna, a margine della seconda pagina, con una grafia incerta che non riuscì a riconoscere era scritto, semplicemente, “Ad Antonio”.
Carmine De Cicco
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